IL SIGNORE DELLE FORMICHE
di Gianni Amelio
AMELIO RICHIAMA ALLA MEMORIA IL CASO BRAIBANTI DENUNCIANDO L'ITALIETTA OMOFOBA E BIGOTTA DI IERI E DI OGGI
PROGRAMMAZIONE TERMINATA

Provincia di Piacenza, anni Sessanta. Aldo Braibanti è un intellettuale con un gran seguito tra i giovani, che frequentano la sua “factory” dove si recita, si creano installazioni artistiche, si scrivono poesie. Fra i suoi adepti c’è Riccardo, che sogna di essere apprezzato dal suo maestro ma che da lui riceve solo critiche. Un giorno Riccardo porta con sé il fratello Ettore, che ha scovato una di quelle formiche che Braibanti, anche mirmecologo, colleziona in una teca. E l’intellettuale dimostra subito gratitudine e stima verso quel ragazzo intelligente e gentile. Ma anche un’attrazione, presto reciprocata dal ragazzo, che gli costerà lalibertà e la carriera: perché Braibanti è anche un omosessuale dichiarato.

È sintomatico che la parola omosessuale compaia ne Il signore delle formiche solo dopo un’ora di racconto: un modo narrativamente appropriato per riprodurre il silenzio negazionista che ha circondato non solo il termine, ma l’esistenza stessa di una parte della popolazione italiana.

Contro Braibanti la madre di Ettore (nella realtà Giovanni Sanfratello, poiché questa storia è “liberamente ispirata a fatti avvenuti nell’Italia degli anni Sessanta”) intenterà la prima (e unica) causa per plagio non su un’opera dell’ingegno ma su un essere umano. In realtà il processo, da parte della società italiana, era all’omosessualità, non rubricata come reato solo perché il codice italiano, scritto dal fascismo, non contemplava affatto la possibilità che un cittadino fosse men che virile.

Per contro Il signore delle formiche “fa causa” a quell’ipocrisia che ha costretto molti al silenzio e al sotterfugio, per non dire alla negazione della propria identità. E all’isolamento, alla “correzione” forzata: perché se a Braibanti è costata la gogna mediatica e la detenzione, a Sanfratello è valsa la chiusura in manicomio e una sfilza di elettroshock.

Gianni Amelio racconta questa storia scegliendo in parte la cifra del melodramma alla Douglas Sirk (basti notare la scelta musicale) contrastata dall’asciuttezza rigorosa delle interpretazioni dell’ottimo Luigi Lo Cascio e del sorprendente Leonardo Maltese, al suo esordio: come dire che mentre la società italiana si esibiva in un crescendo patetico e delirante da sceneggiata o da operetta, i due omosessuali protagonisti mantenevano quella sobrietà e quella dignità composta che caratterizzano chi sa di contrastare un’insensata ingiustizia.

Ed è fondamentalmente di quella ingiustizia che parla il film di Amelio, senza commettere l’errore di fare di Braibanti un santino (le scene in cui insegna ai suoi allievi lo dipingono come dispotico e arrogante, un Carmelo Bene prima maniera più che il Pasolini cui tanto assomiglia), e contestualizzando la sua battaglia all’interno di quella più grande anni Sessanta, della quale rivela anche le contraddizioni: un PCI più attento a conquistare seggi che a sposare le giuste cause, un immigrato dal sud omofobo e sciovinista, e così via.

 

Regia
Gianni Amelio
Cast
Luigi Lo Cascio, Elio Germano, Sara Serraiocco, Leonardo Maltese, Anna Caterina Antonacci
Genere
DRAMMATICO
Durata
130 - colore
Produzione
Italia (2022)
Distribuzione
Rai Cinema